Gli 80 anni di Domenico D'Ambrosio
- Michele di Bari
- 24 set 2021
- Tempo di lettura: 3 min
di Michele di Bari*
Un buon pastore. Prima vescovo di Termoli - Larino e poi Arcivescovo metropolita di Foggia- Bovino e poi ancora arcivescovo di Manfredonia- Vieste - San Giovanni Rotondo ed infine arcivescovo metropolita di Lecce. Oggi nel suo ottantesimo genetliaco Mons. Domenico D’Ambrosio durante la celebrazione eucaristica nella chiesa di San Pio in San Giovanni Rotondo per ringraziare Cristo e la Sua Chiesa peri tanti doni ricevuti si è definito un vescovo itinerante. È particolarmente complicato fare un bilancio di un vescovo. Ancor di più di un vescovo con una ricca intensa attività pastorale. Qui però non può sottacersi su una vocazione che tutti avvertono profumata come nel suo primo giorno di ordinazione sacerdotale. Un vescovo e 71 i preti ordinati sono la cifra di un’avventura iniziata a Peschici, la meravigliosa cittadina ubicata nel cuore del Gargano, per giungere nella chiesa matrice in San Giovanni dove per venti anni nell’esercizio di parroco ha individuato nuovi percorsi pastorali, attingendo alla spiritualità di San Pio e lasciandosi guidare dalle indicazioni pastorali dell’ultimo Concilio. E San Pio Gli ha riservato una speciale grazia poiché come Arcivescovo di Manfredonia, prima di ogni altro, ha potuto vedere nel corso dell’estumulazione il suo volto santo. Può essere dunque annoverato quale figlio spirituale di San Pio, che ha cercato costantemente di essere il buon samaritano che si china ed ha compassione del malcapitato per assisterlo e curarlo. Proprio la ricerca dell’uomo ha ritenuto di privilegiare per intrecciare le inquietudini di una società spesso lontana dalla fede eppur sempre alla ricerca di un approdo sicuro, cercando di far vivere Cristo in ogni contesto perché la domanda esistenziale di Isaia “sentinella a che punto è la notte” resta fortemente attuale. Una metafora della condizione dell’uomo che si interroga se sarà salvato oppure come il naufrago sarà inghiottito dal mare. Di fronte a questo dilemma Mons. D’Ambrosio non fornisce risposte a buon mercato, ma nella fragilità e vulne r a b i l i t à dell’uomo ritrova lo spazio per presentare Cristo ai lontani mai schernendosi dietro rigorose liturgie o parole preconfezionate per affermare le verità del Vangelo non di rado scomode. Il suo è il linguaggio in cui le parole sono strumenti per evangelizzare poiché vissute e corroborate dall’intimo, quotidiano rapporto con Cristo che sin da giovane prete ha voluto sperimentare nel deserto dei Luoghi Santi. Una esperienza che segnerà il suo cammino di sacerdote e di vescovo, consentendogli di superare sfide impegnative ed enormi fatiche. È vero è stata una bella giornata di festa in cui i vescovi concelebranti Mons. Franco Moscone, arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, Mons. Fernando Filograna, vescovo di Nardò-Gallipoli, il vescovo che lui ha ordinato, ed il novello vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi dell’Aquila Mons. Antonio D’Angelo che ha ordinato diacono e presbitero, hanno reso evidente il suo lungo percorso episcopale. Ma ciò anche in questa circostanza non lo ha affatto distolto dal suo autentico spirito di testimone della parola che avvicina l’uomo a Cristo: l’immutato programma della sua fitta agenda che lo accompagna anche quale vescovo emerito. Nelle tre “s”: salire, stare, scendere, peraltro il titolo di una riuscita lettera pastorale pubblicata a Lecce nella ricorrenza del venticinquesimo anno di ordinazione episcopale, ribadisce il senso della gratitudine nei confronti dei sacerdoti incontrati nelle quattro diocesi e del suo rapporto fecondo con ognuno di essi. Uno specchio dei propri limiti per salire a Cristo; farsi coinvolgere e sostare sotto la Croce; ed infine scendere per vivere il mondo nella consapevolezza che ogni uomo può varcare la porta del Paradiso .
*Prefetto

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