di Nicola Parisi
15 giugno 1826, muore Mons. Domenico Arcaroli (Eccitato Viciense) pastore Arcade a Napoli nel 1766
Nell'anniversario della morte, un interessante articolo di Nicola Parisi
Alla svolta fra il Sei Settecento le accademie divennero molto di più dell’Università centro di circolazione delle nuove idee, un contesto dove emerge l’importanza delle relazioni fra intellettuali e in particolare fra l’ambiente romano e quello napoletano, dove spicca il ruolo della figura di Celestino Galiani e dell’altro conterraneo Pietro Giannone.
Dalla testimonianza del Nunzio Simonetti leggiamo “ Si fanno per tutta la Città [Napoli] Accademie in diverse facoltà, e molte si sa esser buone; altre però sono sospette, essendo certe che la gioventù legge libri Francesi, ed Oltremontani, e le massime di quelli contro la Chiesa e gli Ecclesiastici, si spacciano con pompa pubblicamente, avendo preso gusto nella critica delle materie Ecclesiastiche, ed alle nuove opinioni cartesiane”.
Il Minieri Riccio nell’elenco delle Accademie nella città di Napoli cita la Colonia Aletina fondata nel 1741, ispirata dall’Arcadia di Roma fondata nel 1690, si richiama a questa non solo come movimento letterario, ma come vera e propria scuola di pensiero: classicista; amanti della poesia classicheggiante, eruditi e studiosi che si richiamavano ai pastori-poeti della mitica Arcadia.
La Colonia Aletina fondata in onore dell’Immacolata Concezione aveva sede nella chiesa di Sant’Agostino degli Scalzi, dedicata a S. Maria della Verità. Dichiarata la novella Accademia Colonia dell’Arcadia di Roma dal 1753, aveva preso come emblema un Cigno sulle acque, sopra del quale pendeva la Fistula Pastorale col motto “ et canit, et cadent”.
L’istituzione dagli interessi prevalentemente religiosi, teneva la seduta annuale in occasione della solennità dell’Immacolata Concezione di Maria e gli accademici erano chiamati a recitare componimenti in versi e in prosa in onore della Beata Vergine. Composizioni, che a parte qualche guizzo particolarmente espressivo, non riescono quasi mai ad allontanarsi davvero dai più usuali dettami della poesia arcadica.
Nella raccolta di prosa e versi recitati in lode dell’Immacolata Concezione di Maria , l’otto dicembre dell’anno 1766 si ritrova il componimento di Domenico Arcaroli Eccitato Viciense tra gli Arcadi Nivilio.
Per l’Arcaroli erano gli anni della permanenza a Napoli dove frequentava la pubblica Università e ne conseguiva il grado di dottore dell’una e dell’altra legge “ in utroque jure” il 29 novembre 1768. Nella testimonianza di Saverio Politi sacerdote della Diocesi di Tropea, deposta nel processo concistoriale del 27 gennaio 1776, per la nomina di vescovo di Lavello, il compagno di studi dichiarava “ La cognizione che io tengo del S. D. Domenico Arcaroli è incominciata nella Città di Napoli da anni 15 à questa parte, in occasione che frequentavamo diverse legali Accademie, che si tenevano nella suddetta Città nelle quali unitamente più volte ci siamo portati, ed il tal congiuntura lo principiai non solo a conoscere ma anche a trattare, il che ho continuato a fare interportarmi però per via di carteggio”.
L’Arcaroli già ordinato sacerdote l’8 maggio 1755 presso il seminario Arcivescovile di Manfredonia, fu accademico del sodalizio culturale dell’Accademia degli Eccitati di Vico del Gargano sorta del 1759 come si legge negli statuti. Contemporaneamente, durante il periodo in cui egli si trovava nella capitale del regno per i corso di studi giuridici, frequentò gli ambienti accademici, più vicini al suo spirito di zelante ecclesiastico. Tale era il contesto della Colonia Aletina fondata dai padri Agostiniani Eremitani Scalzi di Napoli, che si riunivano annualmente nella chiesa di Chiesa di S. Maria della Verità.
Nei versi egli canta una eterna lode alla Madre Celeste resa immune dal peccato perché destinata ad essere madre del Figlio; vincitrice del male è invocata a soccorrere l’umanità e liberarla dal peccato. La conclusione è un invito a lodare Maria “ Seguite, o Arcadi i vostri canti lieti, e festanti”.
E qual insolita
Novella è questa,
che la foresta
d’inni , e cantici
tutto risuona;
e al piano, e al monte ,
e al colle, e al prato,
fuor dell’usato
ciascun ornato d’immortal corona
la nobil fronte,
si vedono d’Arcadia i pastorelli
cacciar dal gregge dl’innocenti agnelli?
Ah si, sovvengomi
qual sia la bella
cagion di quella
gioia, che ingombera
di tutti il petto.
Oggi a’ mortali
quel dì risplende,
per cui si accende
di stizza, di livore, e di dispetto
chi a’ nostri mali
diè la spinta crudel, per cui la morte
venn’ella a trionfar di nostra sorte.
A Voi, gran Vergine,
i dì festivo
oggi è votivo:
sì , a Voi si rendono
in sì bel giorno
laudi, ed onori:
perciò v’idio
arder di pio
desiderio i pastori a far che adorno
ciascun di fiori
qui comparisse, a celebrare il santo
dì, che piacesse al vostro Dio cotanto.
Quel giorno memoro,
se tal ei puole
dirsi, che il sole
ancor risplende
non si vedea,
quando il gran Dio,
qual sposo amante,
le luci sante
fisso sopra di Voi qual altra Dea:
si allor che pio
destinandovi Madre del suo Figlio
Vi rendè immune dal comun periglio.
Ed ho qual gaudio
in ciel si accrebbe!
Chi ‘l crederebbe?
Deh voi spiegatelo
almi, e beati
spirti celesti,
che il gran momento
pien di contento
celebraste d’amor tutto infiammati:
che mai tu festi
o superbo Dragon? Tornasti giuso
per giusto guiderdon vinto, e confuso.
Or chi non debbavi,
alma eroina
pura, e divina
dir, che Voi l’unica
siete, la vaga
la bella, e intera,
di cui tra tante
l’eterno Amante
sol si compiacque, ed ogni cuor appaga?
Ah sì; la vera
di lui pupilla siete, e il suo tesoro,
l’opra più degna del di lui lavoro.
La Primogenita
Voi sì già fuste;
tal le vetuste
sacrate pagine
fanno a noi fede.
Voi foste esente
sì, dall’antica
colpa nemica:
sì, non osò d’insidiarvi il piede
il rio serpente:
si, quella foste Voi Arca gradita,
per cui l’uom fello si salvò la vita.
Cieli o voi ditelo,
che allor presenti
ai bei momenti
di Lei mirastivo
pien di stupore
la bella Imago:
qual non si apprese
gaudio , ed intese?
A Lei qual gloria non si diede, e onore?
Io so, che pago
Il Sol restonne, e ogni più chiara Stella
al riflesso di Lei parve men bella.
Qui ancor s’intesero
inni festivi.
Che non udivi?
Chi al cedro, e al platano
la somigliava:
chi a quel de’ campi
giglio odoroso,
bello, e vezzoso.
Chi , da Te quando impetro, a Lei gridava
che orma qui stampi
cinta di nostra uman spoglia terrena,
e vieni a liberar noi da catena?
Altri pregavano:
dhe vieni o Sposa,
dolce, amorosa:
Tu sei quell’Iride
di pace eterna,
che Iddio di porre
promise in segno,
che il suo gran sdegno
iva a cessar per sua bontà paterna.
Sì, vieni a sciorre
noi da que’ lacci, che ci tengon stretti;
vieni, o Sposa, a scaldare i nostri affetti.
Or va tu, e vantati
Drago superbo,
che al caso acerbo
sapesti vincerla:
va, è dì, che schiava
tu la rendesti:
va, e dì, che infetta
fu pur Concetta:
Va, e dì, che il tuo furor tutto l’aggrava:
Va, e di, che avesti
sopra di Lei l’impero. In van prefumi;
invan tu verso di Lei rivolgi i lumi.
Seguite, o Arcadi
i vostri canti
lieti, e festanti,
se un dì più celebre
non vide il Cielo;
ne qua sen vide
un altro eguale;
certo egli è tale;
che tutto a se richiama il nostro zelo:
ei già ci arride
più che il merto non sia: onde a sua gloria
di Lei cantiamo l’immortal Vittoria.
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