NOI, GLI YANKEE, I RUSSI E IL P.C.I.
- Pino Chiucini
- 23 dic 2021
- Tempo di lettura: 11 min
di Giuseppe Chiucini
AGOSTO 1962

Finalmente, l’assegnazione al Reparto!
Dopo circa due anni di addestramento, diviso tra la Scuola Specialisti di Caserta che si trovava connessa direttamente alla stupenda Reggia di Caserta e la Scuola Addestramento di Borgo Piave in provincia di Latina, era arrivato il momento della destinazione definitiva.
Avevamo finito il Corso di specializzazione quello di Tecnici Radio svolto a Caserta e quello più “tosto” di Tecnici RADAR. Potevamo adesso mettere in atto le nostre capacità sia negli Aeroporti Militari sui Radar di avvicinamento e decollo, sia nelle Stazioni Radar addette alla Difesa Aerea Territoriale e al Controllo del traffico aereo civile.
Eravamo tutti felici: questo era il passo definitivo, quello che ci avrebbe portato, soddisfatti, nei luoghi scelti. Questo era il sentimento che provavano quasi tutti i partecipanti al 20mo corso Tecnici Radar.
Non era il sentimento che provavo io che, in qualità di primo del corso, avrei dovuto essere assegnato per “meriti” all’Aeroporto di Grosseto, città nella quale vivevo prima dell’arruolamento. Il Direttore dei corso, che mi aveva chiamato in Direzione prima della partenza, mi aveva comunicato che un mio collega, raccomandato da un pezzo grosso, era stato assegnato nel luogo che mi era stato promesso!
L’unico vantaggio che mi fu offerto fu quello di poter scegliere tra la Provincia di Udine e quella di Foggia. Scelsi quella di Foggia, me tapino, convinto dall’amore per il caldo sole!
In seguito, verrò a sapere che la cosa non era vera e che i primi del corso erano stati tutti assegnati ad uno dei nascenti Centri Radar uno in Friuli, Lame di Concordia e l’altro un Puglia, nel Gargano a Monte Jacotenente all’interno della Foresta Umbra, che dipendevano direttamente dalla NATO e che saranno dotati di apparecchiature del tutto nuove nel mercato tecnologico del tempo.
Partimmo, di buonora, in dieci, sette dei quali destinati a Jacotenente, dalla Stazione ferroviaria di Latina la mattina del giorno Venerdì 10 Agosto. Con l’incarico di responsabile del gruppo, mi furono consegnati tutti i documenti di viaggio e mi fu assicurato che alla Stazione di Foggia ci avrebbe atteso un mezzo militare per portare noi e la quantità enorme di zaini, valigie, borse e sacchetti all’Aeroporto di Amendola prima tappa di un successivo avvicinamento alla nostra destinazione finale che prevedeva anche una successiva tappa al Centro Radar di Vieste.
Di Venere e di Marte non si arriva e non si parte! Vero!
Arrivammo nel pomeriggio bollente a Foggia e carichi come facchini ci portammo sul piazzale della Stazione per cercare il mezzo che avrebbe dovuto portarci ad Amendola. Non era ancora presente e non lo fu nelle seguenti due ore. Alcuni tassisti si offersero per accompagnarci, solo quando capirono che non potevamo permettercelo ci lasciarono in pace. Così telefonammo al Corpo di Guardia dell’Aeroporto di Amendola e non fu facile convincerli che noi eravamo 10 Avieri Scelti provenienti dalla Scuola Addestramento di Borgo Piave, destinati ad Amendola e che attendevamo di essere prelevati sul piazzale della Stazione di Foggia. Trascorse un’altra ora circa prima che arrivasse un mezzo militare.
Arrivati all’ingresso dell’Aeroporto, non mi fu facile, pur con i documenti in possesso, convincere il Capo Posto che provenienti da Borgo Piave eravamo stati assegnati temporaneamente ad Amendola. Fummo accolti nell’ufficio dell’Ufficiale di Picchetto che si trovò a disagio nel comunicarci che nessuno ci attendeva e che non aveva alcuna disposizione sul nostro arrivo e conseguente sistemazione. Avremmo dovuto aspettare in corridoio fino a quando non avesse ottenuto dall’Ufficio Comando del Reparto qualche direttiva sul da farsi.
Stanchi ed avviliti, restammo in attesa della decisione sulla nostra sorte che arrivò poco dopo con la comunicazione che potevamo portarci momentaneamente in una camerata degli Avieri VAM, temporaneamente disponibile perché parte degli avieri era in licenza in occasione delle Festività di Ferragosto. Saremmo poi stati in seguito sistemati in maniera definitiva.
Cominciò così il primo giorno di vita militare extra scolastica. Cominciò anche il nostro primo impatto con l’ambiente del Tavoliere pugliese: la notte trascorse in bianco lottando con nuvole di zanzare che ci aspettavano con avido appetito!
L’indomani mattina arrivò la notizia che ci avevano accolti definitivamente anche se il Comando rimanevano ancora in attesa di chiarimenti. Ci fu assegnato il posto letto in altra palazzina e ci furono forzatamente concessi 5 giorni di permesso.
I sette erano, oltre al sottoscritto grossetano Giuseppe Chiucini, un sardo Tuveri Giuseppe, un milanese Paolo Relli, un sarnese Aniello Auletta, e tre pugliesi, il manfredoniano (quindi un locale) Bernardino Perillo, il brindisino Giovanni Petracca e il tarantino Raffaele Moretti. I pugliesi approfittarono dei giorni liberi per recarsi presso le proprie famiglie, Tuveri, Relli, Auletta e il sottoscritto decisero di fare un giro nei dintorni per scoprire dove fosse la mèta destinazione del nostro viaggio di avvicinamento: Monte Jacotenente, nel mezzo della Foresta Umbra.
Il sabato sera avevamo noleggiato a Foggia una FIAT 600 con la quale saremmo partiti la Domenica alla volta di Monte Sant’Angelo. Con l’allegria della giovane età, nonostante l’amaro della destinazione e dell’accoglienza, partimmo per un tragitto che avevamo tracciato su una vecchia e pressoché illeggibile cartina geografica e che ci avrebbe portato prima a Manfredonia, poi a Mattinata e da qui a Monte Sant’Angelo. Presa con calma e con lo spirito caratteristico dei turisti ci fermammo nella bella Manfredonia, nell’incantevole Mattinata e da li salimmo verso Monte Sant’Angelo che raggiungemmo verso le 11 dopo una serie incredibile di curve.
Attraversato il centro città parcheggiammo la 600 in prossimità del santuario di San Michele appena fuori del paese.

La nostra intenzione era quella di chiedere informazioni su Monte Jacotenente, che alcuni sostenevano fosse percepibile da un belvedere di Monte Sant’Angelo. Il primo approccio turistico fu quello di visitare il bellissimo Santuario rimanendo di stucco per l’avvincente e misteriosa bellezza del luogo.
Poi due passi per il paese che ci consentirono di prendere confidenza con il luogo e realizzare che su alcuni muri erano affissi manifesti che chiaramente e seccamente riportavano scritte di questo tipo:
“Via gli Yankee da Umbra!”, oltre a “No! Ai missili in Foresta Umbra!”. La cosa ci lasciò stupiti: perché “Yankee” e ancor più preoccupante perché “Missili”?
Per cercare di capire e prima di chiedere notizie sulla Foresta Umbra e sul Monte Jacotenente (era meglio non far sapere il perché e il come eravamo interessati), decidemmo di informarci del perché di quei manifesti.
Questo era il panorama dal “Belvedere”! Laggiù avremmo dovuto scorgere Monte Jacotenente

Fuori del Santuario, dove ci avevano indicato il “Belvedere” - oggi c’è la Casa del Pellegrino - si trattenevano nella bella giornata alcuni gruppi di paesani. Ci avvicinammo e innocentemente chiedemmo della ragione di quei manifesti. Uno dei paesani prese la parola sugli altri e con una certa animazione ci rispose che il paese non voleva che nella vicina Foresta Umbra venissero montate delle testate missilistiche nucleari! Nascondendo la sorpresa (si pensi che noi eravamo stati destinati là!) e a fronte di questa chiara affermazione, intervenni nel discorso chiedendo:
«Nucleari!? Come fate a pensare che stiano installando missili nucleari?»
«Mio nipote lavora a Monte Jacotenente e stanno costruendo degli enormi basamenti in cemento. I ferri che usano nell’armatura sono così …» e fece un gesto con le due mani per mostrare un cerchio grande come un bicchiere!
«… anzi aspettate un attimo ...» si spostò di lato e gridò verso un gruppo poco distante da noi: «Pietro, … Pietro…» un uomo si voltò…
«… vieni un attimo qua.». L’uomo lasciò il suo gruppo accennando ai componenti di aspettarlo e venne verso noi.
«Pietro spiega a questi giovanotti dei missili di Umbra, non credono che li possano mettere là.»
Pietro non rispose subito, forse valutando la nostra giovane età, e i nostri volti estranei. Per aiutarlo a vincere la diffidenza, ripresi la parola e gli dissi:
«Non dicevo che non ci crediamo chiedevo solo come faceva ad affermare che i lavori che stanno facendo si riferiscano a basi di rampa per missili.»
L’intervento servì a sciogliergli la lingua: «Perché non ci sono altre spiegazioni, ecco perché! I lavori cementizi sono eseguiti con enormi armature e lasciano pensare che servano per sostenere un forte peso o una forte spinta come se dovessero essere utilizzati come basi di lancio di un missile.»
Si fermò un attimo e visto che eravamo un po’ sorpresi, proseguì:
«Inoltre, prima della protesta e del comizio che si è svolto qualche giorno fa, il compagno (chiaramente a quei tempi uno del Partito Comunista) che parlava disse che tra la Puglia e la Basilicata nelle Murge sono già stati istallate da anni altre basi missilistiche nucleari!»
«Sono missili, credetemi! Scusate ma debbo lasciarvi. Arrivederci.» e ci lasciò per ricongiungersi con il gruppo lasciato.
«Visto, che vi avevo detto. Sono per i missili.»
«E’ un bel problema risposi!» e salutammo.
Non era proprio il caso di chiedere informazioni su Monte Jacotenente … pericoloso! Dopo una visita più turistica alla cittadina, ci rimettemmo in macchina per riportare a Foggia la 600.
NR: Mi ricollegherò a questa parte del racconto più avanti quando in unione con un altro momento del nostro viaggio per la Destinazione, potrò usare i due accadimenti per una più larga giustificazione geopolitica.
Rientrati ad Amendola, vi rimanemmo fino alla metà di settembre dedicandoci alle pulizie dell’Hangar San Giovanni (luogo dove venivano mantenute e riparate le apparecchiature elettroniche degli aerei militari in dotazione all’Aeroporto di Amendola), nobile lavoro dedicato alle “burbe” cioè le giovani reclute. A settembre come detto ci ricaricammo con i bagagli e, questa volta accompagnati con un mezzo militare, giungemmo alla seconda tappa di avvicinamento: Vieste.
Pur non nel nostro definitivo reparto eravamo in un Centro Radar, cioè adesso parlavamo la stessa lingua. Il Centro aveva la Zona Logistica di fronte al mare. Il paese era ameno e piacevole. La Zona Operativa era arroccata sulle alture interne a pochi chilometri dalla Logistica. Al nostro arrivo il Comando ci informò che nel Mese di Novembre avremmo finalmente raggiunto la nostra destinazione: la nascente Stazione Radar di Jacotenente nella Foresta Umbra.
OTTOBRE 1962
Poche settimane erano trascorse dal nostro arrivo. Come usuale nel mondo militare di allora erano i novizi del posto che venivano sacrificati ai lavori più indesiderati. Fu così che con nostra sorpresa due di noi, il sardo Giuseppe Tuveri ed il sottoscritto, fummo, la mattina del 23 Ottobre 1962, chiamati al Comando per comunicarci che ci saremmo dovuti recare in Armeria per prelevare ciascuno un Mitra Beretta MAB 38 le giberne con quattro caricatori. Compito: montiamo di guardia armata al Ponte Radio di Monte Sacro. Fatto questo ci recammo alla mensa dove ci furono affidate due “gamelle” multistrato ciascuno: a conti fatti un pranzo e una cena! La sorpresa si concluse con il trasporto a bordo di una campagnola sulla montagna dove in località Monte Sacro sorgeva il Ponte Radio che serviva al Reparto per tenere i contatti operativi e logistici con il mondo militare esterno.
Inutile narrarvi del nostro stato d’animo (eravamo il primo ed il secondo nella graduatoria del nostro corso!): un ulteriore colpo al grande dispiacere e alla rabbia di essere stati prima lusingati e poi assegnati in un posto non richiesto e così inospitale. Senza parlare del fatto contingente: inviati armati senza alcuna spiegazione del motivo. Armati di Mitra in un luogo sperduto nel mezzo di una foresta, all’interno di una piccola costruzione che ospitava le apparecchiature elettroniche del ponte radio.
Chiusi tra le quattro mura trascorremmo con una certa angoscia il pomeriggio, la notte e la mattina seguente. Finalmente saremmo stati sostituiti da altri colleghi! Vana fu l’attesa! Non solo passò il pomeriggio, ma anche la notte e anche la mattina successiva! Eravamo ormai senza più viveri di conforto. Rimaneva solo del caffè, un po’ di zucchero e qualche busta di gallette che il previdente Tuveri aveva portato a parte insieme alla “cuccuma napoletana”.
Nel pomeriggio la fame ci costrinse nostro malgrado ad uscire dal recinto alla ricerca di probabili funghi e, in caso positivo, di un po’ di legna per poterli arrostire. La stagione era stata propizia, i funghi le trovammo abbondanti a qualche centinaio di metri dal Ponte Radio. Breve fu l’escursione, rapido il rientro. Non restava che accendere un po’ di legna per fare della brace dove nei recipienti della cucina che avevamo svuotato il primo giorno cucinammo alcuni funghi porcini. Un po’ di sale (sempre dalla scorta di Tuveri, che evidentemente era abituato alla sopravvivenza!) e il pasto fu consumato e gradito!
NR Non avevamo alcuna possibilità di contattare il Reparto. Non era l’era degli “Smart Phone”!
Trascorse la seconda notte e nella mattina discutemmo dell’ipotesi di abbandonare entrambi il Ponte Radio e di correre il rischio di essere accusati di “diserzione” oppure di dividerci: uno restava di guardia e l’altro cercava di raggiungere il Reparto. Potevamo seguire il sentiero sterrato percorso dalla campagnola. Nonostante la distanza che non avevamo avuto il modo di quantificare non sarebbe stato difficile arrivare almeno sulla Stata Statale 89.
Ci accordammo per questa seconda soluzione. Avremmo resistito per un’altra notte e se nessuno fosse arrivato l’indomani mattina io mi sarei avviato e lui sarebbe rimasto di guardia. Così fu! La mattina seguente cercammo di organizzare il da farsi, ripassammo il progetto e dopo essermi disarmato mi stavo avviando… quando arrivò il “melodioso” rumore di un veicolo che arrancava verso di noi! Finalmente comparve la campagnola! Oltre l’autista scese dal mezzo l’Ufficiale di Picchetto che sorridente! ci disse: «Ancora vivi!!»
La gioia di essere in salvo! Non ci fece pronunciare i commenti che si sarebbe meritato per quella improvvida battuta.
Ecco l’assurdo: non c’era stato cambio di guardia perché l’allarme era stato disattivato la prima notte del nostro impiego! NOI ERAVAMO STATI DIMENTICATI!
Tornati in Logistica fummo portati dal Comandante che si scusò per l’avvenuta dimenticanza incolpando di ciò l’Ufficiale di Picchetto in servizio il giorno della nostra partenza che, a fine allarme, non aveva passato consegna della nostra presenza a Torre Sacro. Per nostra consolazione ci venne spiegato anche il perché dell’allarme e del nostro improvviso impiego.
Ecco i fatti:
Nikita Sergeevič Chruščëv aveva inviato delle navi verso Cuba per armare, con testate nucleari, una batteria di Missili che era stata installata nell’isola. Gli Stati Uniti, nella persona del loro Presidente F. Kennedy, avevano scoperto la base missilistica per mezzo di foto scattate dagli aerei spia U-2 e, come reazione, avevano imposto un blocco navale a 500 miglia da Cuba. Ci fu un continuo e minaccioso scambio di messaggi e di contatti tra le due Superpotenze! In quei giorni si stava per riaccendere un nuovo e distruttivo conflitto mondiale! Al termine di un duro scambio tra Chruščëv e Kennedy, venne raggiunto un accordo. Con una dichiarazione pubblica, i sovietici avrebbero smantellato l’armamento offensivo installato a Cuba e lo avrebbero riportato in patria sotto il controllo delle Nazioni Unite, in cambio di una dichiarazione pubblica statunitense di non tentare di invadere nuovamente Cuba. In segreto, gli Stati Uniti avrebbero anche acconsentito a smantellare tutti i missili PGM-19 Jupiter, di loro fabbricazione, schierati in Turchia, Italia e Gran Bretagna. Il giorno 24 di ottobre le navi sovietiche si fermarono prima del limite del blocco e fecero inversione di marcia. A livello locale, la felice conclusione aveva indotto i nostri Comandi Superiori a diramare la comunicazione di fine allarme! Eravamo rimasti in attività bellica solo noi!
NR: Segue a questo punto una spiegazione che ci consentirà di collegare questa nostra disavventura con la nostra visita a Monte Sant’Angelo.
Sono passati molti anni da allora, o almeno da quando con i potenti mezzi della moderna informazione di cui ci dota la Rete, ho scoperto a cosa alludesse, parlando di Murge e di missili, il Pietro di Monte Sant’Angelo nel ormai lontano Agosto 1962. Le enormi basi che furono costruite nel 1961/2 a Jacotenente non erano basi di rampe missilistiche ma grosse costruzioni di tipo antiatomico che avrebbero ospitato le apparecchiature ricetrasmittenti ed annesse ai servizi di due enormi radar, quello di ricerca, RV 377 e quello di quota, SN 244N.
Nelle Murge invece erano veramente stati installati dei missili Jupiter di tipologia nucleare le testate erano indirizzate verso l’allora nemico stato sovietico.
Il 10 agosto 1959 lo Strategic Air Command diede il via all'Operazione Deep Rock, cioè al rischieramento di missili balistici IRBM PGM-19A Jupiter in Italia. L'Aeronautica Militare schierò 30 missili Chrysler PGM-17 Jupiter alle dipendenze dell'appositamente costituita 36ª Aerobrigata Interdizione Strategica, con comando a Gioia del Colle, che venne istituita il 1º gennaio 1960 (in realtà il 23 aprile 1960) ed entro sei mesi le previste dieci postazioni tutte attivate.
Da Diacronie Studi di Storia Contemporanea - www.diacronie.it
“Il quarto governo Fanfani e la crisi di Cuba del 1962. Una chiave di volta per l’apertura a sinistra”:
Il coinvolgimento italiano nella crisi cubana derivava dalla presenza nella penisola di missili Jupiter, dislocati fra Puglia e Basilicata fin dal 1960. Essi, puntati verso est su richiesta della Casa Bianca, furono, insieme ai missili collocati in territorio turco, al centro del braccio di ferro ingaggiato da Kennedy e Chruščëv nell’ottobre 1962.
La presenza dei missili all’interno del paese fece si che «il caso italiano fosse […] sempre presente [nelle trattative fra sovietici e statunitensi], direttamente o indirettamente, sin da quando venne ricercata e trovata la via di un compromesso pacifico» Soluzione alla crisi che sarà raggiunta anche grazie all’intenso lavoro diplomatico intrapreso dal governo di Roma e in particolare da Fanfani, che si attiverà a più riprese per convincere Kennedy a rinunciare allo scontro frontale. Soluzione alla crisi che sarà raggiunta anche grazie all’intenso lavoro diplomatico intrapreso dal governo di Roma e in particolare da Fanfani, che si attiverà a più riprese per convincere Kennedy a rinunciare allo scontro frontale. Il 5 gennaio 1963 gli Stati Uniti comunicarono la loro decisione di smantellare i Jupiter italiani, approvata dal Consiglio dei Ministri, e l'Aerobrigata fu disattivata il 1º aprile 1963 e sciolta ufficialmente il 21 giugno dello stesso anno.
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