Incontro Francesco Fiorentino in una fresca serata di fine settembre.
Lo ricordavo più giovane, sportivo, calciatore in erba, perché negli ultimi tempi lo avevo perso di vista.
Mi sono accorto che sono trascorsi tanti anni. Succede.
Anche nei piccoli paesi, a volte, ci perdiamo...
Iniziando dal «come stai» gli chiedo le solite cose, che poi così solite non sono...
Il tempo di sederci in redazione e subito le parole diventano pietre, macigni, per poi lentamente trasformarsi in piume sospese, farfalle colorate, pensieri positivi, iniezioni di fiducia.
Un’ora di conversazione.
Tra le più piacevoli e interessanti della stagione.
Una sorta di incantesimo che può spezzare pregiudizi e falsi miti.
Mi complimento con lui e gli chiedo una cortesia.
«Francè devi scrivermi una lettera. Dobbiamo far sapere al mondo quello che ci siamo detti. La tua storia vale più dell’oro e il tuo messaggio può essere molto utile a chiunque lo leggerà, rispecchiandosi nella tua esperienza. Ci siamo capiti, vero?»
Nemmeno il tempo di chiedere. Un sorriso e una stretta di mano siglavano l’intesa quasi implicita e che nel giro di poche ore è diventata realtà.
Il mio invito è di leggere tutto il testo con calma, trattenendo il respiro, cercando di vivere gli stessi momenti, le ambientazioni e le situazioni che Francesco, con coraggio, spirito di prossimità e con una calma disarmante, ha voluto regalare a tutti voi, confezionando un’autentica perla di saggezza.
Buona lettura e grazie ancora a te Francesco. Una piacevole scoperta.
(Michele Lauriola)
Come tutti i ragazzi della mia generazione, ho trascorso l‘infanzia tra libri scolastici, tanto sport e disparati luoghi di aggregazione sociale, dai muretti della villa ai garage dove si suonava e cantava, dal gruppo parrocchiale ai tornei di biglie di vetro nei diversi quartieri, dalle feste di compleanno in casa alle prime patenti e, con esse, giri infiniti fino a terminare il carburante per le strade di paese e nei comuni limitrofi, ricordo tutto con immenso piacere e gratitudine.
Come tutti i ragazzi della mia generazione, alla fine degli studi di scuola secondaria, ho cercato fortuna al nord, iscrivendomi alla facoltà di ingegneria di Padova.
Assieme al gruppo dei miei amici di infanzia, avevamo riempito gli spazi che intercorrevano da Ancona a Padova, per cui quasi ogni fine settimana ci riunivamo per stare assieme, ci faceva bene, probabilmente non volevamo spezzare quel cordone indissolubile che ci legava da sempre.
I primi anni di università trascorsero in maniera fluida, tra lezioni, esami e serate goliardiche.
Poi iniziai gradualmente a lavoricchiare di tanto in tanto durante il fine settimana, perché si sa, i soldi non bastano mai.
Un bel giorno, il mio datore di lavoro, mi propose di entrare a tempo pieno nel suo organico; voleva aumentare la forza lavoro stabile della sua azienda, la proposta era molto allettante, un lavoro a tempo pieno nel campo del marketing a raggio nazionale e con esso la possibilità di girare in lungo ed in largo l’Italia intera, stipendio fisso, macchina aziendale con carburante pagato, telefono aziendale, a 23 anni.
Sfiderei chiunque a non accettare, tanto dovevo studiare per avere un lavoro in futuro, nella mia ottica il lavoro era lì a portata di mano ed era anche fighissimo.
Accettai senza batter ciglio, con il presupposto, ben presto disatteso, che avrei continuato i miei studi di ingegneria, seppur a rilento, ovviamente.
Il lavoro mi assorbì subito, ma la mia vita mi piaceva, non era così doloroso aver abbandonato, gradualmente gli studi, mi sentivo comunque gratificato e molto soddisfatto, avevo molti agi grazie a quel lavoro.
Era tutto meraviglioso, mi sentivo onnipotente, avevo tutto ciò che un ragazzo a quella età può desiderare. In tutto ciò, ovviamente, non passavano più di 3 mesi e, da buon terrone al nord, tornavo a casa da mamma e papà, a riempire la mia pancia di bontà genuine e la mia anima di amore filiale.
Alla soglia dei 30 anni, tra la fine del 2007 ed i principi del 2008, purtroppo una forte crisi economica colpì il nord-est e, nel giro di qualche mese, il ramo d’azienda nel quale ero impiegato chiuse i battenti. Ovviamente il colpo assestato non arriva mai da solo e, dopo poco, la mia relazione con quella che sarebbe dovuta essere la mia promessa sposa iniziò ad incrinarsi, fino a chiudersi del tutto dopo qualche tempo.
Era arrivato ormai giugno del 2008 e decisi di tornare qualche mese nel mio Gargano, per lavorare da mio zio come cameriere e nel frattempo pensare a cosa avrei fatto a settembre, con qualche soldo in più in tasca, magari tornando a Padova per ricominciare da qualche parte.
Alla fine dell’estate risalii al nord, in realtà solo per 15 giorni, il tempo necessario per caricare la macchina di tutte le mie cose e tornare a Vico, quel paese che tanto amavo ma che, da quel momento stesso iniziai un po’ ad odiare, era il simbolo che mi ero dato relativo a quello che iniziavo a considerare un fallimento, il primo della mia vita.
Mi davo da fare ogni giorno per cercare di sovvertire la tendenza, ma sempre senza esito.
Qualcosa si era rotto, lo sentivo e non avevo le carte per cambiare la rotta. Avevo di colpo smarrito il mio entusiasmo, il mio carisma sparito, le mie energie svanite nel nulla, le mie passioni più innate quasi disconosciute, come se non ne avessi mai avute…avevo smarrito di colpo la gioia della vita.
Caos ed insoddisfazione ovunque, mamma che cercava di strapparmi un sorriso, seppur fugace, ma non riusciva, non volevo sorridere, non sono mai stato bravo a fingere, chiunque mi conosce sa bene che sono un libro aperto, da sempre. Avevo concesso a quella sensazione di fallimento, arrivata così repentina ed inaspettata, di impossessarsi pienamente di me e della mia vita. Ero impreparato, lo ammetto, non sapevo come reagire, non ero abituato a fallire, non mi era mai capitato prima.
Iniziai a rifiutare qualsiasi forma di aiuto, con la presunzione che, anche stavolta come sempre accaduto in passato, me la sarei cavata, in qualche modo, da solo. Ma il problema era che stavolta non ci credevo nemmeno io, ero impreparato a questa emozione negativa, non mi era mai capitata prima, non sapevo come si faceva né tanto meno da dove avrei dovuto iniziare.
Mi rimboccai le maniche ed iniziai a fare lavori saltuari, in attesa di qualcosa di più definitivo e gratificante.
Quel qualcosa arrivò dopo qualche anno, un bagliore di luce, almeno la mia dinamica lavorativa era salva e per me, abituato da sempre a lavorare, era molto importante.
Ma qualcosa dentro me continuava a scricchiolare, non riuscivo a darmi risposte, il giocattolo che aveva le sembianze della perfezione dei miei anni patavini, era lontano anni luce.
Il mio cervello non si spegneva mai, i pensieri avevano sempre una parvenza più negativa che positiva, non trovavo più la pace, quella che ti fa mettere la testa sul cuscino e ti fa dormire sereno.
Diventavo sempre più qualcosa che tendeva più ad un automa che ad un essere umano, il lavoro mi piaceva tanto, ma mi assorbiva quasi completamente.
Avevo dalla mia pare tante cose, la mia famiglia che mi amava, un bel lavoro, anche se mi assorbiva tanto, la relazione con la mia fidanzata che, seppur tra alti e bassi, andava avanti, i miei adorati cani e le mie colonie feline da curare, ma non ero felice, quel malessere si era radicato fortemente in me ed era ancora lì.
Sempre costantemente alla ricerca di qualcosa, ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse.
Iniziavano intanto a presentarsi notti insonni, la mia pressione sanguigna iniziava a balbettare e pian piano a destabilizzarsi, dovevo a tutti i costi trovare un rimedio, la cosa iniziava a farsi seria e non mi piaceva, qualcosa stava sfuggendo al mio controllo sempre più e non mi andava bene.
Negli ultimi anni della mia vita a Padova, avevo conosciuto il piacere di Bacco a tavola e, nel corso degli anni a venire, non avevo mai disdegnato un bicchiere di buon vino durante i pasti. Oramai la sera non uscivo più, mamma e papà andavano a letto alle 21.30 per lasciarmi da solo in cucina, accanto al camino, con il mio cagnolino Sole. A casa ero sempre nervoso, insoddisfatto della mia vita e con quel peso addosso di quel fantomatico fallimento sfogavo il mio malessere su coloro che mi amavano di più a questo mondo, non permettevo loro di darmi consigli nè di parlarmi, nemmeno di chiedermi come fosse andata la mia giornata al lavoro.
Ogni sera piangevo perché mi sentivo una merda, mi ripromettevo di cambiare atteggiamento il giorno dopo, ma puntualmente accadeva sempre la stessa cosa l’indomani.
Una di quelle sere, quasi casualmente, ho bevuto un paio di bicchieri di vino in più rispetto al solito e dormii di gran gusto. Avrò bevuto al massimo 3 bicchieri, ma tanto bastò a farmi dormire meravigliosamente e, la mia mente, immagazzinò quel dato.
Senza saperlo, iniziò quella sera stessa a prendere forma il meccanismo che mi avrebbe portato, nel corso degli anni a seguire, a diventare dipendente dal vino.
Infatti, da quella sera in poi, consapevolmente o inconsapevolmente, iniziai a bere tutte le sere il quantitativo sufficiente a stordirmi, per raggiungere il mio obiettivo, o meglio l’obiettivo che la mia mente chiedeva… dormire agevolmente.
Il gioco, per quanto bastardo, era molto semplice, la mia mente aveva messo nero su bianco la soluzione al mio problema, per dormire basta bere una quantità sufficiente a stordirti di vino, prestando attenzione a non esagerare perché l’indomani mattina la sveglia suonava alle 6.30, per prepararmi per andare al lavoro, fresco come una rosa e lucido per adempiere al mio dovere.
In realtà, questo è proprio il meccanismo che ti porta alla dipendenza, la mente direziona le tue scelte e ti sussurra, se ha funzionato ieri, prova a rifarlo anche oggi, sicuramente funzionerà ancora {se ieri hai dormito grazie al vino, bevi ancora e dormirai anche oggi}…e poi ancora e ancora e ancora.
E’ così, senza renderti conto, affidi piano piano la tua vita a qualcosa da cui inizi a dipendere, perché quella intanto è diventata la tua medicina, colei che ti risolve il problema, colei che non ti fa pensare e ti fa dormire.
Accade che, al meccanismo di alienazione pregresso, nato da quella sensazione di fallimento ed alla presunzione di non aver bisogno di aiuto, si vanno ad aggiungere sensi di colpa, bugie, vergogna, inadeguatezza, insicurezze, ansie e timori… tutte dirette conseguenze del fatto che tu, in realtà, dipendi da qualcosa di estraneo a te e non sei più tu a determinare chi sei e cosa vuoi, non sei più libero di scegliere, ti poni vincoli e limiti autoindotti perché la medicina a tutto è solo lei, la sostanza che, nel frattempo e lo sai, ti sta danneggiando, ma è pur sempre l’unica medicina che conosci, la strada più facile da perseguire, a dire il vero, ma questo è il bello, funziona ed è anche facile, perché dovrei provare qualcosa di diverso!!!
Ben presto però diventi come il cane che si morde la coda perché il problema non lo risolvi, ma lo rimandi al giorno dopo quando, dal punto di vista biologico ed organico, avrai bisogno di un goccio in più, che con il tempo diventerà un bicchiere e poi un litro, da sommare ogni tot a quello che già ingurgiti.
Arrivi al punto che non puoi stare nemmeno 1 minuto senza, perché altrimenti l’ansia e le paure ti assalgono, se provi a farne a meno ti sembra di vivere senza quella arcigna corazza che ti sei costruito.
Allontani, di conseguenza, tutto ciò’ che ti circonda, in primis la tua famiglia che, intanto, si accorge, seppur cerchi in tutti i modi di nasconderlo, che qualcosa non va, che inizi ad essere strano, con gli occhi gonfi e lucidi, a volte hai degli scatti d’ira repentini e ti alieni sempre più, ma questa volta sembra proprio tu ti voglia nascondere.
Ma quando sei da solo ti disperi, perché sai che chiedere aiuto, proprio alla tua famiglia potrebbe salvarti da quella dipendenza, ma ti senti in colpa, ti vergogni maledettamente, non vuoi metterli a conoscenza di tutto perché loro, se sapessero tutto, ne soffrirebbero.
Tendi ad annullarti, ad annientarti, ma tutto sommato resti a galla perché la tua medicina, intanto, funziona sempre. Ma te ne serve sempre di più, perché le cose da soffocare e nascondere crescono sempre più.
E poi arriva il 9 marzo 2018, quel giorno in cui mamma vola in cielo tra gli angeli.
Una mazzata terrificante, colei che cercava di strapparmi, nonostante tutto quel fugace sorriso, mi abbandona per passare a miglior vita.
La solitudine aumenta sempre più, cerco di barcamenarmi a destra e manca per restare a galla, lo devo a papà e ad Ersi, ma sento che la mia vita ha sempre meno valore per me.
La stima oramai sotto ai piedi, la fiducia in me stesso completamente sparita, ogni buon proposito per il mio futuro completamente assente.
Poi, a gennaio 2019, un nuovo bagliore, incontro una ragazza meravigliosa e piena di vita, mi piace, io piaccio a lei, ci lasciamo andare ed iniziamo una relazione.
Finalmente il vento sembra essere girato, torno a vivere momenti, seppur sporadici, in cui la felicità torna nella mia vita, adoro la sua vitalità, spesso riesce a tirarmi su pero’…la mia medicina è sempre lì, presente, non riesco ancora a farne a meno…lei se ne accorge, cerca di aiutarmi, a volte con dolcezza altre con fermezza, ma io non glie lo permetto…tanto smetto quando voglio, potete stare tutti tranquilli, è tutto sotto controllo, continuo a dir loro.
Fatto sta che, tra alti e bassi, la nostra storia termina il 14 agosto 2020.
Da quel giorno fino al 29 ottobre 2021, il declino è sempre più vistoso.
Odio la mia vita, non mi interessa più nulla, voglio solo bere e non pensare a niente, voglio bere fino a quando il mio fegato esplode. Continuo ad accumulare alienazione sempre più marcata, sensi di colpa, vergogna di quello che sono diventato ma ho paura, di uscire allo scoperto e chiedere aiuto, perché mi faccio letteralmente schifo e nascondo la testa sotto la sabbia come un codardo, perché è proprio così nella dipendenza, anche i buoni finiscono per diventare dei codardi egoisti ma, non è una giustificazione, nella dipendenza non si hanno alternative, perché quando si arriva a quel punto, i macigni da sotterrare dentro hanno ormai proporzioni enormi.
Ho la fortuna di avere accanto a me delle persone che, nonostante tutto mi amano follemente… su loro consiglio provo a trasferirmi a Roma per cambiare aria, hai visto mai che possa funzionare…ma purtroppo la musica non cambia.
Sono purtroppo inglobato completamente in un meccanismo più grande di me ed ancora una volta, seppur ne ho piena cognizione, non riesco a chiedere aiuto e continuo a nascondermi.
Il meccanismo della dipendenza, purtroppo, ti porta a questo e non fa differenza tra buoni e cattivi, belli e brutti, magri e grassi…è così per tutti coloro che ne vengono assorbiti.
Allora, quelle persone che intanto mi amano ancora (mia sorella, mio padre e mio cugino Pino in particolare) decidono di intervenire senza interpellarmi.
Cercando su internet, si imbattono in un centro di recupero per tossicodipendenti ed alcolisti che non utilizza nel percorso di rinascita alcun farmaco e decidono di rimettere la mia vita nelle mani di questa struttura, che risponde al nome di NARCONON/IL GABBIANO di Torre dell’Orso (LE).
Concordano con i referenti del centro di venirmi a prelevare, letteralmente, a Roma e di portarmi presso la loro struttura, per permettermi di svolgere un programma di riabilitazione alla vita, in un disperato tentativo di aiutarmi perché si, nel frattempo, loro sono ormai disperati nel vedermi così privo di voglia di vivere e reagire.
Arrivato a Torre dell’Orso nella notte tra il 29 ed 30 ottobre, mi sono finalmente rimboccato le maniche e sin da subito ho sentito sollievo e leggerezza, come se la mia mente mi avesse detto…FINALMENTE!!!
Ho svolto il mio programma di riabilitazione, fighissimo, per 6 mesi…in un percorso strutturato meravigliosamente nel quale prima ho purificato il mio corpo e poi successivamente ripristinato la mia mente, affrontando tutto ciò che mi aveva danneggiato, con molto sudore e fatica, ma uscendone vincitore e rinato.
Ho trovato dentro me quel coraggio che avevo sempre volontariamente scansato, ho scoperto che questa era la vera medicina che non avevo trovato, probabilmente perché era più difficile e meno immediata, ma di certo più efficace a lungo termine.
Ho riscoperto la fiducia in me stesso e, passo dopo passo il mio valore…infine ho anche scoperto cosa voglio fare da grande.
Infatti, alla fine del mio percorso, ho deciso di investire il mio futuro restando nella stessa struttura come operatore, per aiutare tutti coloro che, come me nella vita, hanno dovuto affrontare qualcosa che ritenevano insormontabile.
Mi occupo dell’accoglienza dei ragazzi che chiedono aiuto, nella fase di astinenza nello specifico, integrato pienamente all’interno di uno staff composta da persone meravigliose e dedite ad aiutare chi ne ha bisogno, che hanno, ancor prima di un lavoro, una missione di vita…un compito arduo, duro e difficile ma molto gratificante…contribuire a risollevare quei ragazzi, come altri hanno fatto con me in passato, mi dona gioia e mi gratifica, mi rasserena e mi riempie, da il vero senso della vita ai miei giorni…ora, coloro che non hanno mai smesso di amarmi e che ad un certo punto erano disperati, sono fieri di me…ed io sono orgoglioso di quello che sono diventato.
Se avete difficoltà non esitate a chiedere aiuto, il potere della comunicazione, troppe volte sottovalutato, è fondamentale…può davvero salvarci la vita…e dopo aver raschiato il fondo, ho capito che niente al mondo è più importante della nostra vita e di chi siamo, basta avere coraggio ed ammettere di avere un problema.
Mai perdere la speranza, perché
NON ESISTE PERSONA VIVA CHE NON POSSA DAR VITA AD UN NUOVO INIZIO!
Francesco Fiorentino
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