Lo studio che si intende principiare attraverso questo scritto non ha, come si avverte sin dal titolo, alcuna pretesa di completezza, anche solo in ragione dello stato delle fonti che non consente una più immediata intellezione dell’argomento.
È bene fare, poi, una precisazione. La Scienza medica, almeno per il periodo che ci occupa, e cioè quello ricompreso tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento, ha una “fisionomia” affatto peculiare, che, per tal motivo, non si presta a una immediata (e piana) lettura attraverso i canoni propri della Medicina moderna.
Ampie ricerche sono state condotte, più in generale, sul punto – è sufficiente in questa sede segnalare il bel saggio di L. Pellegrino, Dal “dottor fisico” “barbiere” “chirurgo” al “medico-chirurgo”, in La Capitanata. Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia, XLV, 21, 2007, pp. 213-222, grazie a cui, peraltro, apprendiamo come a Manfredonia, nel Cinquecento, operasse il phisicus D. Caesar de Armis (una famiglia omonima, forse appartenente allo stesso ceppo, è inclusa nel Primo Ceto a Vico) – ove sono state messe ben in luce le differenze intercorrenti tra le varie figure che si occupavano in età Moderna della materia sanitaria.
E così, senza semplificare eccessivamente la ricostruzione, si può affermare come il ruolo che oggi è ricoperto dal medico propriamente detto, fosse attribuito, nell’arco temporale qui in discorso, al “dottore fisico”, vale a dire a colui che – sovente, almeno tra il Cinquecento e la metà del Seicento, appartenente a rami cadetti di famiglie nobili o con vita more nobilium – aveva appreso l’arte medica presso uno Studium, cioè una Università, e che, soprattutto, non operava cum ferro et igne, non si occupava, cioè, di curare “meccanicamente” il paziente. Quest’ultimo ruolo, infatti, spettava al “barbiere” o “barbitonsore”, colui che, privo di qualificata istruzione medica, proveniente sovente dagli strati più umili della popolazione (la sola, che, d’altro canto, ne richiedeva i servigi), curava le affezioni più comuni attraverso salassi, incisioni e altre pratiche “manuali” e, appunto, “meccaniche”. A un grado più elevato (anche della scala sociale), invece, pur non potendosi, quanto a conoscenze e prestigio, paragonare al dottore fisico, si collocava il “chirurgo”, il cui ruolo richiamava – come ben è stato evidenziato da L. Pellegrino, Dal “dottor fisico” “barbiere” “chirurgo” al “medico-chirurgo”, cit., p. 217 – quello dell’antico cerusicus.
La distinzione, che si trascina, anche se man mano attenuata, sino a quasi gli esordi dell’Ottocento, verrà pienamente superata solo a partire dal 1862, con l’unificazione degli studi (e l’ottenimento di una Laurea in Medicina e Chirurgia unica).
E nel territorio vicano si riscontra la persistenza di questa suddivisione?
La risposta è affermativa. Abbiamo, sul punto, fonti che consentono qualche interessante rilievo a partire dai primi anni del Seicento.
Prima di tutto, la Elegia di Carlo Pinto intitolata “De Vico Garganico Apulorum Opido”, stampata a Napoli, Apud Io. Iacobum Carlinum et Constntinum Vitalem, nel 1607, di cui ci siamo già occupati sulle pagine di questo Giornale.
Tra le molte informazioni che essa fornisce – segnatamente alle “note” che occupano il c.d. “Index et explicatio praecipuorum locorum rerum, ac personarum, quae in Elegia de Vico Garganico dilaudantur”, pp. 27-28 (Ad Personas pertinent, qui Vici sunt) – è elencato il numero dei “Medici”, che ammontano a ottanta unità, e degli “Aromatarij”, che sono ben ottantadue. Dunque, per lo meno prestando fede alle notizie che si traggono dal Pinto, intorno al 1607 Vico contava, complessivamente, centosessantadue concittadini in varia misura versati nelle Arti mediche. La terminologia tecnica che usa l’Autore della Elegia – normalmente piuttosto curata – appare, invece, in questa occasione, scelta con meno efficacia descrittiva.
Tralasciando l’uso del termine “aromatarius”, certamente preciso nel descrivere coloro che erano adusi a preparare e commerciare sostanze aromatiche, non del tutto perspicuo è l’impiego del lemma “medicus”, in luogo di “phisicus”. Probabilmente, la scelta risponde a ragioni di onnicomprensività. Non è da credere, tuttavia, che tra i “medici” rientrassero solo i dottori fisici propriamente detti. Il numero complessivo, piuttosto elevato, rimane comunque in assoluto difficile da spiegare.
La distinzione terminologica, e d’uso, di cui si è dato succintamente conto potrebbe trovare una spiegazione – nel senso, comunque, di escludere dal novero dei “medici” i chirurghi – in un particolare documento peraltro coevo alla Elegia.
È utile, a questo proposito, soffermare l’attenzione su un particolare escerto della “Conventio inter Universitatem Terrae Vici et Universitatem Casalis ex Prothocollo anni 1607. Notarii Annibalis Pascharellis apud Notar. Claudio de Ambrosio”, datata 23 settembre 1607, di cui pure abbiamo discorso su questo Giornale.
Più in particolare, enumerando gli obblighi assunti dall’Università di Vico nei confronti di quella del Casale, si legge, al fol. 6, «…et de più de darle Medico, et Chirugico …», ove, questo particolare termine “Chirugico”, probabilmente richiama il lemma latino cerusicus. Come si vede, un testo risalente pressoché al medesimo torno di tempo dell’Elegia, permette di inferire, con un buon grado di sicurezza, come anche l’uso di “medicus” da parte del Pinto avrebbe ben potuto escludere un riferimento ai chirurghi.
D’altronde, lo stesso Autore dell’Elegia, discorrendo di alcuni concittadini illustri e, per la precisione, di Ioannes ab Stephano, meglio contestualizza con una perifrasi il lemma medicus, giacché il di Stefano viene qualificato alla stregua di «Medicus … de physicis rebus…». Quest’ultimo personaggio, di cui pure abbiamo già avuto occasione di parlare, era stato, in Napoli, allievo del grande Giovanni Bernardino Longo, Protomedico del Viceregno.
D’altro canto, una fonte di qualche anno successiva, vede più propriamente l’impiego da parte dell’estensore del titolo di “dottor fisico”. E infatti, il 2 gennaio 1624, veniva battezzato, da Bartolomeo Masella, per l’appunto, il figlio del dottor fisico Francesco d’Attilo (v. ACM, Liber primus baptizatorum, fol. 1r), mentre, il 16 settembre 1628, appare in qualità di padrino il dottor fisico Matteo, figlio, pure, del dottor fisico Gesimundo de Nitto (ibid., fol. 79v).
Anche i Libri degli Stati delle Anime appaiono, invero, più esatti nella scelta lessicale. E così, nel Libro dello Stato delle Anime della Terra di Vico per l’anno 1695, Burgo, sub lett. M, n. 354, è censito il nucleo familiare che fa capo al dottore fisico Carlo Mattei. E ancora, quello del dottor fisico Giulio Colangelis e quello del dottor fisico Gio. Azzarone (ibid., Civita, sub lett. C, n. 165 e Burgo, sub lett. A, n. 27).
Dunque, e per tirare fila di quanto sin qui detto, possono evidenziarsi i seguenti dati che, pur bisognosi di essere ulteriormente approfonditi, dato che si è solo abbozzata una ricognizione delle fonti a disposizione, rendono comunque una panoramica interessante sull’esercizio della Medicina a Vico.
Abbiamo visto come, invero, sia pur considerando con sospetto il numero di “Medici” indicato da Carlo Pinto, in territorio vicano operasse una congerie piuttosto vasta di personaggi in vario modo connessi all’Arte medica. Semplici barbieri o barbitonsori, di cui le fonti tacciono i nomi; certamente chirurghi, le cui identità pure vengono condannate all’oblio dei secoli; diversi dottori fisici. Tra questi ultimi, appartenenti alle Famiglie del Primo Ceto (d’Attili, Mattei e, poco dopo, Roberti e altri), vi fu anche chi, specie presso lo Studium napoletano, frequentò le lezioni di indiscussi Maestri della Medicina.
In ogni caso, e a prescindere dal ruolo svolto, dal diverso modo di curare l’Uomo, tutte queste figure rispondevano – in tempi governati da frequenti epidemie e malanni di ogni specie – a quella che è, forse, la più impellente necessità della persona: il benessere fisico in tutte le sue più svariate accezioni.
Oggi, a caro prezzo, anche noi abbiamo “riscoperto” l’importanza di quanti dedicano la loro Vita alla cura dell’Altro. È a queste persone che dedico la mia fatica.
* Ringrazio l’amico Nicola Parisi per la segnalazione dei dottori fisici della Famiglia de Nitto, di Giulio Colangelis e Gio. Azzarone.
Avv. Antonio Leo de Petris
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